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MARE DENTRO
(MAR ADENTRO)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 20 maggio 2005
 
di Alejandro Amenabar, con Javier Bardem, Belen Rueda, Mabel Rivera, Lola Dueñas (Spagna, 2004)
 
Tetraplegico da trent'anni, Ramon sorride mentre chiede di potersene finalmente andare; perché si può piangere ridendo, come dice. Conferendo cosi il tono a MARE DENTRO: parlare di un tema impossibile da filmare come quello dell'eutanasia con la stessa serenità che fu di Ramon Sampedro. Un caso che fece discutere il suo Paese dal 1968 di quel tuffo in mare che gli fracassò le vertebre fino al 12 gennaio del 1998, quando Ramon riuscì a darsi illegalmente la morte, dopo quattro anni di inutilI battaglie con i tribunali spagnoli.

E' a quella esperienza cosi radicata nella realtà, oltre che al libro di poesie di Sampedro “Lettere dall'inferno”, che Alejandro Amenabar, il regista di un film cosi diverso come THE OTHERS si è ispirato. Da quelle atmosfere squisitamente immerse nel fantastico alla cronaca di una casa, di una stanza nella campagna della Galizia; da una apparizione indimenticabile di Nicole Kidman che proteggeva dai fantasmi più o meno reali i figlioli ammalati di fotofobia, ad un'altra formidabile interpretazione. E' infatti sulle spalle o piuttosto, visto la situazione sulla mimica straordinariamente espressiva di Javier Bardem che poggia gran parte dell'impatto emotivo del film. Il coinvolgimento dell'icona dei film di Almodovar e di Bigas Luna è straordinario: nel come riesca, con la semplice luce degli occhi, ad esprimere, senza mai gridarla, l'umiliazione quotidiana di dover dipendere dagli altri. A ancora, in una sequenza straordinaria per difficoltà ed esigenza di tatto, addirittura la sensualità di un incontro quasi ravvicinato con la propria avvocatessa.

La forza dell'interiorizzazione dell'attore è tale, il mondo che riesce a creare attorno alle proprie limitazioni è cosi vivo, addirittura intriso dal paradosso, dalla comicità o dal desiderio che si stenta ancor più ad accettare la sua ansia irrefrenabile di lasciarlo. Ed è forse per questo che il regista abbandona volentieri le quattro mura per evadere a volo di uccello con la sua cinepresa sopra la campagna che circonda il casolare, verso quel mare che rappresenta i sogni dell'infermo oltre che la fonte delle sue disgrazie. Un'evasione salutare da un certo disagio nel fantastico del protagonista che al regista riesce con una facilità minore rispetto ai suoi film precedenti; condizionata da un approccio più scenaristico, per istanti ai confini del verboso e dell'esplicativo che rende in definitiva la dissertazione su un tema cosi arduo meno naturale, convincente se non commovente che in un film come LE INVASIONI BARBARICHE di Denis Arcand.


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